L'etica della traduzione

In un mondo che oscilla tra l’omologazione, l’annullamento delle differenze, e la visione dell’altro come un estraneo o nemico, il mediatore linguistico, con il massimo rispetto delle diversità linguistiche e culturali che deve porre a confronto, ha il compito con la sua traduzione di far sì che l’altro non diventi un “alienus”, ma rimanga in relazione.

La buona traduzione è quella che parte dal senso profondo del discorso e non dalle parole: in questo nessuna macchina o robot potrà mai essere in grado di sostituire l’essere umano. La buona traduzione non è mai perfetta, mai definitiva, sempre temporanea.

In definitiva, ha detto Giambetti, si potrebbe parlare dell’ospitalità della traduzione: come un ospite viene accolto in casa rispettando le sue differenze, ma entrando in relazione piena con chi abita la casa, nella consapevolezza che ognuno ritornerà ad essere quello che era, ma arricchito dallo scambio e dal confronto, così deve essere la traduzione da una lingua all’altra.

Il traduttore, dunque, ha un compito etico preziosissimo nella società di oggi, può insegnare a gettare ponti invece di alzare muri.

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